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UN BUCO CON DUE CANZONI INTORNO
Storia del 45 Giri
a cura di Gianluca Barezzi

Capitolo 7 - Piccola revisione dell'italico rock

Chi si aspetta un elenco di date e nomi viene qui tradito senza pietà. Questo presuntuoso capitolo della nostra storia si propone solo di sfatare alcune leggende che per anni hanno dominato incontrastate nei libri e nella memoria collettiva; mentre altri puristi e cronisti del Rock'n'Roll sapranno tracciare un calendario dei fatti più credibile di quello che potrebbe compilare il sottoscritto.

Il 45 giri e il Rock'n'Roll sono la coppia d'oro degli anni Cinquanta e dei primi Sessanta. Combaciano come Bonnie e Clyde, il pane e la Nutella, il burro e la marmellata. Imprescindibili l'uno per l'altro.

Ma non tutti i 45 giri sono riusciti... col buco. Almeno a una disamina posteriore, quando ormai è bene tirare le somme dei decenni che furono e imparare a mettere i puntini sulle “i”.

Due, le contestazioni principali:

a) Gli urlatori, fenomeno tutto italiano, non sono cantanti di Rock'n'Roll né mai lo sono stati. La tendenza a confondere i due generi nasce dal fatto che all'alba del Rock'n'Roll in Italia – primavera 1957 – l'Italia provinciale e dialettale è assetata di novità ma non è capace di analizzare obiettivamente quel che sta accadendo.
Fats Domino, Bill Haley & The Comets, Johnny Burnette, Eddie Cochran, Buddy Holly, Jerry Lee Lewis, Little Richard, Gene Vincent danno libero sfogo all'ugola, talvolta compassati come Holly, talvolta sperticandosi in evoluzioni pittoresche come Little Richard. Ma sempre tutti entro i canoni del Rock, che è un comparto ben preciso, con regole inderogabili: ritmica serrata, assoli di fiati e di chitarra CREDIBILI, visione dell'insieme dell'interprete e tocco di originalità.
Tutto ciò che i nostri artisti al sapor di panettone e cotechino non hanno mai adottato. Quando Antonio Lardera, in arte Tony Dallara, si proclama urlatore lo fa a ragion veduta: le sue tonsille incorporano un megafono e quando si presenta al proprietario della Music, presso cui lavora come fattorino, e spalanca il cavo orale intonando un motivetto americano, il dirigente cambia all'istante la pettinatura. Trac, firma del contratto e prima incisione. Ma rimane – con grande e riconosciuto successo – urlatore di canzoni napoletane e melodiche fino alla definitiva trasformazione pop, che però segna il suo tramonto. Il Rock'n'Roll lo sfiora di striscio.
Esempio inverso. Nel 1957, dopo il trionfo – dicono – al primo Festival del Rock di Milano, scattano per Adriano Celentano otto titoli in lingua (Rip It Up, Jailhouse Rock, Tutti Frutti, Blueberry Hill, Man Smart, I Love You Baby, The Stroll, Tell Me That You Love Me), incisi tutti per la Music. Il Molleggiato scimmiotta grottescamente Elvis, davvero senza alcuna qualità artistica, ma viene sostenuto da un pugno di amici che trovano in lui l'allure dei miti americani incarnati nello spirito italiano. E' stonato come un campanaccio stonato e tiene il tempo come un treno in continuo deragliamento. Cosa gli rimane? La potenza vocale? Ha una certa profondità, ma quanto ad ampiezza dell'onda (volume) deve sempre ricorrere all'amplificazione per spaziare.
Quindi, urlatore non è. Il suo è un rock da smemorato, a tratti schizofrenico nei gesti, abulico, ma è rock vero. Innato. Radicato. Legato a una prima gioventù che lo ha glorificato e reso mito. Peccato che, curiosamente, per gran parte dei Sessanta la sua carriera sia segnata dal folk e dai ritmi di tradizione popolare e ritorni agli esordi solo sporadicamente, con qualche album di nostal-rock incastrato tra un tango e uno pseudo-pop da balera. La svolta si avrà negli Ottanta, quando finalmente viaggerà su un binario più deciso. Ma è già tardi, per il Rock fenomeno al crepuscolo.

b) I rockers italiani dei primordi cantano in tutte le lingue del mondo tranne che in Inglese. Provare per credere: Giorgio Gaber che esegue Be Bop A Lula ha lo stesso accento di un pastore armeno che intona una canzone svedese. E così la povera Mina che scandisce Passion Flower, When e The Diary come una che è appena uscita da una colonscopia; idem per la milanese Betty Curtis, che se cantasse With All My Heart in dialetto meneghino farebbe una figura migliore.
Per i “rockers de noantri” c'è quindi l'insormontabile problema della lingua. Qualcuno biascica poche parole sentite da piccolo dai fanti americani durate l'Occupazione, altri più raffinati arrivano a coniugare una manciata di verbi grazie ai primi corsi di inglese nelle scuole professionali e nelle università. Ma per cantare Jailhouse Rock, che anche a King Presley deve essere sembrato un torcilingua da record, bisogna esserci nati, negli Stati Uniti.
Così la storia del Rock'n'Roll italiano passa inevitabilmente da questa impasse: i cantanti più bravi con il britannico idioma iniziano a scimmiottare la dizione (peraltro scarsa) degli yankees; molti vantano ascendenti o addirittura esperienze anglofone scarsamente credibili. Uno su tutti: Antonio Ciacci da Tivoli, dopo una nobilitante trasformazione londinese in Little Tony, tornato nel 1958 nella terra di Romolo e Remo giocherà a lungo sull'equivoco...
Esiste però un caso isolato, un unicum nella storia dell'italico rock, la cui pronuncia trarrebbe in inganno anche il più americano degli americani.
Si chiama Cesar May, al secolo Cesare (Ninni) Maina, nativo di Foggia. Inizia nei Cinquanta a suonare con Renzo Arbore in piccole orchestre da night. Il crooner diplomato in contrabbasso viene ingaggiato dai fratelli Meazzi di Milano per l'etichetta Hollywood e proiettato, insieme a Jimmy Fontana, Gil Cuppini ed Eraldo Volontè, nel firmamento del jazz. Ma incrocia distrattamente anche il Rock'n'Roll con quattro soli titoli: Solitude (trascrizione terzinata del brano di Duke Ellington), Twelve o' Clock Tonight, I Surrender Dear e Make Love To Me. La sua pronuncia è talmente, sorprendentemente credibile da poter dare uno schiaffo morale a tutti coloro che sono diventati, a torto o a ragione, più celebri.
Ninni Maina (di cui potete trovare una ristretta biografia su Wikipedia e qualche notizia in più sul n. 46 di Jamboree) si esibisce per anni nei migliori locali d'Europa, prima di fermarsi all'aeroporto di Foggia e diventarne il direttore per molti anni. E quando lo swing bussa ancora prepotente alla sua porta, il Frank Sinatra italiano torna a cantare nel suo locale, la mitica Taverna del Gufo. Fino al 2008, l'anno in cui si spegne settantaseienne.

La sensazione è che il Rock'n italiano dei primordi sia stato tutto un raggiro e una mistificazione di cialtroni, mitomani e millantatori. In realtà, sì, è vero, abbiamo iniziato proprio alla fine dei Cinquanta quel processo di imitazione (quando non di plagio) della musica straniera che marcherà a fuoco tutta la produzione beat dei Sessanta; però c'è anche molto di originale, e tra il 1958 e il 1960 artisti come Clem Sacco, Ghigo, Ricky Gianco si scoprono brillanti inventori in un panorama di esecutori mediocri.
La vena di Clem(ente) Sacco, ad esempio, bizzarra e a volte bizantina nella creatività, è però tutta genuina: scrive titoli come Oh mama voglio l'uovo a la cocque, Baciami la vena varicosa e Il deficiente, a cui fanno eco, sotto l'etichetta del rock demenziale, Tredici vermi col filtro, Scalogna e carcere, No! al demonio di Arrigo Riccardo Agosti (Ghigo). Quest'ultimo, eclettico artista, per aver spaziato tra Rock'n'Roll, Rhythm & Blues, Beat e Funk, è l'unico crossing che si possa fregiare di essere stato urlatore (finto) e rocker (vero), tanto da dar vita nel 1960, con Brunetta (non il ministro e nemmeno “quella dei Ricchi e Poveri”), Little Tony e Tony Renis, al Partito estremista dell'urlo, contro le imposizioni melodiche della Rai di allora. La copertina del singolo No! al demonio/Scalogna e carcere riprende la foto del manifesto del movimento, che nulla ha di politico.
Quanto a Riccardo Sanna, che con questo nome nel 1959 incide dischi per la Excelsius ben prima di passare alla storia come Ricky Gianco, la carriera è lineare. Dopo il classico debutto in sordina nel 1958 come strumentista nel primo nucleo dei Dik Dik (Pepe, Pietruccio e Lallo), arriva in sala di incisione l'anno successivo con un pezzo che già è di Celentano, Ciao ti dirò. Ma è da Mogol e Gianfranco Reverberi che impara a scrivere, da quel Precipito che Sanna interpreta ancora con la “r” blesa ma che ha una carica di originalità speciale. Con Luigi Tenco ed Enzo Jannacci fonda Ricky Sanna e il suo complesso, iniziando a staccarsi dalla cover band e a scrivere titoli interessanti per Tavola Rotonda (sussidiaria della Ricordi), come Distrattamente, Le tue piccole mani, Vedi vedi vedi.
Ricky Gianco è stato il dietro le quinte del Rock'n'Roll. Non un burattinaio ma una intelligente figura che, in punta di piedi, ha spremuto il meglio di questo genere sapendolo ascoltare, lo ha distillato e distribuito generosamente agli amici, insegnando loro con garbo a diventarne padroni. Chapeau.

Tiriamo le somme. Nel 1957 il fatto determinante è che non siamo culturalmente preparati ad accogliere il Rock'n'Roll, ma lo facciamo ugualmente perché il nostro provincialismo ce lo impone. Vuoi per la censura della televisione, che asseconda il perbenismo ipocrita imperante, vuoi perché siamo tardi a recepire, i dischi di Rock'n'Roll venduti tra il 1955 e il 1957 si computano in un totale di poche migliaia, mentre dal '57 al '60, con i “fenomeni” locali inizia la grande stagione di riscatto  con la penetrazione anche dei mostri sacri, in un range che va da Little Richard fino a Roy Orbison.

E' quindi merito di Celentano e Little Tony se ci siamo imbevuti di Elvis Presley, Bill Haley, Jerry Lee Lewis, Johnny Burnette e se abbiamo ballato Lucille, Whole Lotta Shakin' Goin' On, Long Tall Sally, Good Golly Miss Molly, Summertime Blues, C'mon Everybody fino a consumare i solchi dei nostri 45 giri? Ebbene sì. E Dio li benedica ora e sempre, perché è il loro più grande merito. 7 - continua

Adriano Celentano - Il tuo bacio è come un rock

Foto 1: Adriano Celentano - il primo, storico EP per la Jolly. Il Molleggiato aveva già inciso, due anni prima, quattro singoli e due extended play per la Music, con otto titoli in lingua inglese. Inutile dire che la scarsa attitudine di Adriano per gli idiomi esteri e la sua propensione a inventarsi le parti di testo che non ricordava hanno reso davvero buffe queste "mitiche" performance.

Love me fforever - Giorgio Gaber

Foto 2: Giorgio Gaber - Love Me Forever / Be Bop A Lula. Questo è il secondo singolo del giovane Gaberscik, milanese di nascita ma di radici istriane. Si noti dal numero di catalogo che si tratta di una delle prime incisioni della Dischi Ricordi (l'undicesima). E' il 1958 e il Rock'n'Roll emette già vagiti da qualche mese.

Precipito Ricky Sann

Foto 3: Ricky Sann con i Rock Boys - Precipito / Senza parole (1959). Secondo singolo anche per il lodigiano Riccardo Sanna-Ricky Gianco. Nei Rock Boys, primo gruppo di Celentano, militano per un certo periodo anche Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci. La singolarità di questo pezzo è che viene cantato con una erre blesa che scomparirà nei dischi dell'autore su Tavola Rotonda.

Johnny Baldini

Foto 4: Johnny Baldini - King of Rock / Fai come ti pare (1960). Baldini ha pubblicato con Excelsius solo 4 singoli, tutte cover. Più tardi passerà alla Combo, fondata nel 1958 da Mario Trevisan (ex proprietario della Fonit - Fonodisco Italiano Trevisan, ceduta alla Rai e fusa con la Cetra). Baldini rimane un grosso mistero per gli studiosi di questo periodo: di lui non si sa praticamente nulla.

Johnny Baldini - Oh Carol

Foto 5: Johnny Baldini - Why / Oh! Carol (1960). Una rarissima copertina autografata da Baldini. In questa incisione il rocker affronta un pezzo di Frankie Avalon e Neil Sedaka. Si notino le gambe inarcate "alla Celentano" del disegno: un vero e proprio marchio.

Cesar May

Foto 6: Cesar May - EP Cesar May With The Danyl's Boys At The Moulin Rouge In Geneva. Unico e megararo EP italiano del grande crooner, che si avvicina solo di tangente al Rock'n'Roll ma che lascia un eredità pesantissima: il suo accento americano è unico e inimitabile, e saranno in molti a invidiarglielo.